domenica 13 luglio 2008

viaggio nei sensi




Viaggio nei sensi………



Dopo 25 anni trascorsi tra le cucine di alberghi lo scorso anno decisi di prendermi una pausa di riflessione .
In questo periodo cominciai a dedicarmi ad alcuni Hobby che per mancanza di tempo avevo trascurato,
Tra questi c’erano i fiori, cioè l’arte floreale. Per praticare questa mia passione dovevo innanzitutto acquisire sia la tecnica, sia la conoscenza botanica, fu così che mi rivolsi ad una fiorista della mia zona chiedendo se era disposta ad insegnarmi alcuni elementi fondamentali.
La sua disponibilità fu immediata ed ,oltre a trasmettermi le sue conoscenze, condivise con me anche l’entusiasmo e l’amore per il suo lavoro. Pian piano cominciai a pensare ai fiori non solamente come hobby ma come prospettiva lavorativa futura.
Con il suo aiuto iniziai a frequentare un corso base di designer floreale, a leggere riviste di settore, a partecipare a fiere ed eventi che avevano a che fare con la botanica e l’arte floreale.
Man mano che aumentavano le mie conoscenze in questo campo,notavo che la cucina e il design floreale sono due settori che hanno molte similitudini.
Osservai , infatti, che per entrambe le professioni è fondamentale la conoscenza delle materie prime utilizzate (le caratteristiche organolettiche degli alimenti, le esigenze e caratteristiche botaniche dei fiori) e senza una conoscenza delle tecniche di base, e dell’attrezzatura, non era possibile creare né un piatto, né una composizione floreale.
Inoltre, l’attenzione per i colori, la consistenza, la forma, i sentori della materia, uniti alla fantasia sono requisiti indispensabili in ambedue le professioni.
Alla luce del mio passato di cuoca ho saputo così, scoprire le somiglianze dei due settori, pensando anche,che avrei potuto avvicinare ulteriormente le due cose creando alcuni piatti a base di fiori. Questo pensavo di farlo tra le mura domestiche per allietare ed emozionare i miei amici…..

Tra le cose che feci lo scorso anno, nei mesi di febbraio-marzo ci fu anche un viaggio-studio di 5 settimane a Galway in Irlanda, questo fu programmato per avere delle nozioni base della lingua inglese, visto che avevo anche intenzione di riprendere gli studi in ambito turistico.
Durante il mio soggiorno in questa cittadina affacciata sull’Atlantico, un giorno , vagando per le viuzze più periferiche, mi ritrovai davanti ad un locale con una bellissima esposizione esterna di bulbi che stavano per sbocciare,( precedentemente quando viaggiavo le mie curiosità professionali riguardavano soltanto le carte dei ristoranti, ma ora si erano ampliate ai negozi di fiori).

La cosa che mi colpì fu un cartello all’ingresso con scritto “Caffé”.
Ma come? -mi chiesi- Da fuori sembra una fioreria con tutta questa esposizione di bulbi.
Come i bambini curiosi misi le mani sul vetro per ripararmi dal riflesso e vidi
all’ interno dei tavolini.
Senza esitazione aprii la porta…… e li iniziò il mio viaggio emozionale: tutti i sensi ne furono coinvolti.
La vista in quel ambiente caldo, spaziava in ogni angolo. Dagli elementi predominanti, come i tavoli in legno cerato, le pareti in pietra, dove erano appesi delle foto macro di fiori, al soffitto piramidale in vetro, da dove penzolavano delle lanterne indiane, fino ai piccoli particolari come il portatovaglioli in rame ornato con disegni floreali, i cuscini delle sedie imbottiti e ricamati con elementi vegetali, o lo specchio del bagno con alla base piccole riserve d’acqua con fiori freschi.
Per non parlare di tutti gli oggetti in vendita.
L’olfatto, che già all’ingresso era stato conquistato dai giacinti era ora attirato dal profumo di cioccolato caldo e da un piatto di cheese-cake al limone, che la ragazza che mi aveva accolto con un sorriso, teneva in mano.
Dopo aver osservato il locale trovai da sedere in un tavolino vicino al bancone dove la proprietaria stava preparando una composizione per S.Valentino,festa che sarebbe stata celebrata da li a due giorni.
Tutte assieme queste emozioni non riuscivo a metabolizzarle….ora che in piccola parte la vista e l’olfatto erano stati appagati, fu il momento dell’udito, il suono di una dolce ballata irlandese faceva da sottofondo alla pioggia che batteva sulla piramide di vetro sopra la mia testa; la cameriera mi lasciò tutto il tempo di cui avevo bisogno prima di venire a chiedermi cosa desiderassi.
Il menù era stampato in maniera chiara su di una carta rustica: scelsi un insalatina di spinaccino con scaglie di grana, noci e pinoli ,accompagnata da bruschettine all’ aglio, al pomodoro e mozzarella, al patè di olive. Da bere, acqua naturale, che mi venne servita in un bel boccale di coccio, con a parte una coppetta di ghiaccio e un piattino con fette di limone e arancia. All’arrivo di questo piatto mediterraneo per un momento la mia mente nostalgicamente mi riportò in Italia, ai sentori di casa… ma l’acquolina in bocca subito mi ricondusse alla realtà .
Il gusto fu ampliamente soddisfatto, non pensavo di trovare in questa terra un pomodoro a quadretti, una mozzarella che non rimbalzasse , una fogliolina di basilico fresco e un oliva Taggiasca .
Rimasi almeno due ore in quel locale, non so con precisione, non ho mai guardato l’orologio, e soprattutto non ho mai avuto l’impressione che la proprietaria misurasse il tempo.Sembrava irrilevante che con un'unica ordinazione occupassi un tavolino da quattro posti a sedere, in una saletta esigua che ne conteneva solamente sei.
Me ne andai dal locale senza aver scambiato una parola, ( a parte che per l’ordinazione) ero troppo emozionata, mi sembrava incredibile veder materializzato ciò che in quel periodo idealizzavo, ipotizzavo.
Nel tragitto che mi separava dalla casa sul mare dove abitavo, mi fermai come di consuetudine su una panchina lungo il fiume, dove i cigni aspettavano che la gente portasse loro da mangiare. Mi ripetevo che nulla succede per caso, che sarei dovuta ritornare in quel posto, oltre che per il piacere di stare in quel ambiente, per approfondire l’esame del locale.
Fu cosi che per il periodo che rimasi a Galway. 4/5 volte in settimana andavo là, osservavo i servizi offerti, il gradimento dei clienti, il giro che aveva ecc… nonostante il mio inglese rudimentale riuscii a parlare con la proprietaria, che oltre a darmi le informazioni sul suo locale, mi diede (come a tutti i suoi ospiti) tutte le informazioni di cui necessitavo per stare in città,e mi raccontava piccole curiosità del territorio.
La ragazza che lavorava per lei mi accoglieva sempre con un gran sorriso, il penultimo giorno della mia permanenza le andai a salutare. La proprietaria doveva uscire per un impegno, ma venne a salutarmi al tavolo con una stretta di mano. Ecco l’ultimo senso che mi mancava…il tatto ! La stretta di mano, che non trasmetteva solo un usuale e formale saluto, ma anche il piacere di aver condiviso alcuni momenti nel suo locale e di aver soddisfatto un cliente.
Quando mi alzai per pagare il conto, la ragazza mi disse che la cioccolata calda era offerta dalla signora, inoltre mi diede un piccolo fiorellino con un fiocchetto di rafia.

Nulla succede per caso, forse avevo bisogno di questa esperienza per scoprire che ciò che da alcuni mesi macinava in me, non era un’utopia ma qualcosa che, se realizzato da altri, sosteneva la mia fede nel credere in questo progetto turistico-commerciale.